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Anno: VIII: 2012/2013
Numero: 36
del 23-03-2013
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Articolo di giornalino

Interrogativi decisivi
Autore/i:
Padre Candido Bafile

 

Tanti pensano che la religione sia nata per insegnare ai bambini a star buoni, ad ubbidire ai genitori, ad andar d’accordo. Altri, che sia nata per consolare i vecchi, per impedire le rivoluzioni, per dire agli uomini di pazientare oggi quaggiù, perché godranno domani lassù. Ma è proprio necessario scomodare la religione per questo? Anche i ceffoni possono far star buoni i bambini, anche la paura di perdere il posto di lavoro può indurre il lavoratore a star quieto. La religione ha ben altra radice. La religione è nata perché, ad un certo momento, l’uomo che è un essere pieno di domande, si trova davanti ad alcuni punti interrogativi: «Che senso ha questa vita? Perché sono nato? Io che adesso voglio non mi sono mica voluto? Chi è il responsabile?». È vero che si può scappare per qualche anno a questi interrogativi, dato che non sono da vetrina, ma certamente arriva per tutti il momento del silenzio, del dolore, della riflessione, ed allora, eccole quelle domande fremere sulla mente e sul cuore. Domande decisive, ben più profonde degli interrogativi di piccolo cablaggio: «Perché ho la forfora nei capelli? Perché la televisione non funziona?». A questi puoi anche non rispondere, a quelli, chi decide di restar uomo, non può non rispondere! Un bambino delle elementari risponderà: «Mi trovo su questa terra perché papà e mamma mi hanno voluto». È tutto quello che può dire un piccolo che non può andare più a fondo. In realtà la risposta è molto incompleta. Infatti quando un padre e una madre decidono di avere un figlio non stabiliscono di far nascere “Carlo” o “Monica” con quel particolare colore degli occhi, quella forma delle mani, quel tono di voce, quel carattere… decidono semplicemente di mettere al mondo un essere umano e basta. Non possono programmare chi sarà, perché, stando a ciò che dice la scienza, da un solo atto generativo si hanno tante possibilità di individui diversi l’uno dall’altro. Ognuno di noi è una combinazione magica, unica, irripetibile: un altro simile non ci sarà mai più. Allora perché, tra i miliardi di altri uomini possibili, proprio a me capitò? Nessuno mi ha interpellato! Perché, insomma proprio a me? La radice ultima del mio esserci, in fondo, è oscurità. La scienza mi spiegherà tante cose! Mi dirà, ad esempio, perché ho mal di testa, perché ho certe paure… , ma non dirà mai perché esiste uno come me con quel mal di testa, con quelle paure. Ad un certo punto il discorso scientifico (ed anche filosofico) lascia un residuo di mistero non spiegato. Ma l’uomo ha una dote bellissima: la curiosità! Vuole andare fino in fondo; non si accontenta di approdi parziali, vuole l’approdo totale: vuole chiarire il suo mistero. Come lo chiarirà? Pensate pure finché volete, ma non si arriverà che a questo dilemma: o io mi trovo qui su questa terra perché 30, 60, 80 anni fa la Materia nella sua lunga storia mi ha messo insieme, così, per combinazione, per caso; o vi è stato Uno che, tra tutti i possibili, mi ha pensato, voluto, chiamato e tessuto nel seno di mia madre. Mi permetto di riflettere: si pensi pure, ma non si arriverà che ad una di queste due risposte. Ebbene, chi sceglie la prima dovrà logicamente dire: «Il mio numero è uscito alla roulette… Il mio destino non è scritto da nessuna parte. Sono uno zingaro sperduto e vagabondo su un pianeta indifferente alla mia tragedia» (J. Monod). Chi sceglie la seconda risposta, invece, si sente agganciato ad un Protettore, sente di dovere a Lui la sua vita che gli è legata come al primo anello di tutte le sue esperienze umane. Veramente o prendere o lasciare. Per spiegare la mia presenza quaggiù non c’è che o la via della combinazione casuale della Materia o la via di Dio progettatore. In altri termini, o la via del caso o la via della religione: non per nulla la parola “religione” pare derivi dal verbo “religare”: unirsi, legarsi. Verso quale delle due risposte propende l’uomo: verso il caso o verso la religione? Protendiamo decisamente verso la religione. Con il caso, infatti, facciamo come cortocircuito. Se fossimo qui per puro caso, per pura combinazione, perché inquietarci? Avrebbe tutte le ragioni Sartre a dire che l’uomo è una “passione inutile”. Certo, è vero che possiamo lavorare, impegnarci, godere magari per 80 – 100 anni. Però è anche vero che vi sono milioni di uomini che non possono né lavorare, né impegnarsi, né godere: eppure son qui, poveri disgraziati, giocati dal caso, nati per nulla… Non basta. A parte questo (che è già gravissimo) un giorno o l’altro tutti dovremo soffrire, dovremo morire. Per cosa? Per caso e quindi per niente? No, non possiamo sopportare tanta assurdità. La psicologia sostiene la stessa cosa. L’uomo porta nel più profondo di sé la nostalgia del significato. Nessuno ama essere figlio di nessuno (e il caso è nessuno!). basta osservare un bambino per convincerci come abbiamo bisogno di appartenenza, di fraternità, di un Tu a cui far riferimento, a cui legarsi. Si, si ha ragione a dire che anche ammesso Dio, non tutto diventa chiaro: però il non senso scompare! E questo ci basta! Non capiremo perché si soffre, perché si muore, ma sapremo che Lui lo sa e un giorno ce lo spiegherà. Allora tutto diventerà chiaro: comprenderemo che scrivere diritto su righe per noi storte. Per ora, di Dio mi fido, in Lui spero, a Lui mi aggancio. Ecco la profondo radice della religione. Non la paura ne è la madre, non il timore ne è il padre. La religione è sorta perché è il più alto sistema di significato della vita. Per questo, nonostante tutte le previsioni in contrario, continua e continuerà sempre ad esserci. Qualcuno ha detto bene: si può trovare una città senza mercato, ma non senza tempio.

 

Il Parroco

 


04-10-2011

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