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Anno: VIII: 2012/2013
Numero: 36
del 23-03-2013
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Articolo di giornalino

L’Inferno e la Libertà
Autore/i:
Raimondo Dionisio


 

Il Concilio Vaticano II, nella  Costituzione dogmatica Lumen Gentium, al n. 48, raccomanda di resistere con l’aiuto di Dio al male e agli agguati del diavolo. Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, dobbiamo seguire l’avvertimento del Signore di vegliare assiduamente per evitare l’inferno ed entrare con Lui al banchetto nuziale.

Ma allora cos’è questo inferno?

Il paradiso terrestre era un paradiso momentaneo, gli uomini godevano dell’amicizia di Dio ma al paradiso terrestre doveva subentrare il paradiso definitivo con la visione beatifica di Dio. Nel Paradiso terrestre gli esseri intelligenti, prima di entrare nella definitiva unione con Dio, vengono messi nella condizione di decidere: Dio vuole che gli uomini facciano il bene, “ però non il bene  semplicemente, ma il bene fatto liberamente. Pertanto, preferisce che l’uomo faccia il male, ma liberamente, piuttosto che faccia il bene senza libertà”.

Il  paradiso terrestre è proprio quella  condizione provvisoria dove dovevano avvenire le scelte decisive della libertà, prima di partecipare alla stessa vita intima di Dio.

Ma esiste la libertà?

Scrive Rollo May, fondatore della moderna psicologia americana:

Le argomentazioni che vengono portate avanti contro la libertà non fanno che dimostrarla in maniera ancora più chiara; infatti il dissenso, qualsiasi tipo di discussione logica o il semplice porsi degli interrogativi, presuppongono tutti questo margine di libertà”.

 Se dico di non essere libero, già ammetto, per il semplice fatto di dirlo, che c’è in me una libertà: la libertà di una parte del mio pensiero.

Tutti coloro che si domandano se sono veramente  liberi oppure no, affermano l'esistenza di una parte di libertà nel loro pensiero, nel momento stesso in cui si pongono la domanda.

Ogni uomo si rende conto di essere soggetto a tanti mali, a tante limitazioni, a tante determinazioni e costrizioni che non dipendono dalla sua volontà.

Tuttavia, sono proprio  queste costrizioni che dimostrano che la nostra libertà, anche se parzialmente e piccola, esiste, dal momento che essa stessa se ne lamenta. 

La verità dell’Inferno (..) è necessaria se non si vuole ridurre il dramma dell’uomo che sceglie e costruisce liberamente il suo destino eterno ( e trova qui la fonte della sua vera grandezza ), a una commedia, dove dopo alterne vicende, il lieto fine è immancabile.

  E’ dunque fondamentale per conservare un concetto sostanziale della libertà umana la persuasione della vera e concreta possibilità di dannazione per ogni uomo adulto. Chi sia poi all’inferno e quanti siano, è un enigma che la Rivelazione non scioglie.” ( Giacomo Biffi, Io Credo, breve esposizione della dottrina cattolica, Jaka Book, p.113, n. 2.192 ).

Molto chiaro è il Nuovo Testamento sulla “bestemmia contro lo Spirito Santo”, che è l’incapacità colpevole di chiedere perdono:

“Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo né in quello futuro” ( Mt 12,31 s.; vedi anche Mc 3,28, s.; Lc 12,10  ).

Cos’è l’incapacità colpevole di chiedere perdono? 

Dio Vendicatore, Dio Geloso, Dio iroso, Dio che castiga con la sua mano... 

Tutte queste immagini  usate nell' Antico Testamento sono metaforiche e antropomorfiche, conformi ad un popolo in stato d’infanzia, ma  dietro tali allegorie si nasconde,  per chi sa leggere in profondità, un diverso concetto di Dio e del castigo: un concetto molto più profondo, logico e in armonia con la libertà, con  la dignità umana e la perfezione di Dio.

Si tratta di un concetto di castigo  che diventerà perfettamente chiaro  e compiuto con Gesù  e con la parabola del Figliol prodigo.

Non è Dio che castiga, come fosse un boia o un giudice al modo umano, ma è il peccato stesso  che castiga l'uomo con le sue conseguenze.

Già Geremia, nell'Antico Testamento, aveva espresso in modo chiaro questo concetto, fuor di metafora.

Il peccato distrugge l’uomo e il peccato stesso castiga il peccatore

«La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono» (Ger 2,19).

Lo stesso inferno, secondo una teologia degna di questo nome, è un castigo di Dio nel senso indiretto, cioè nel senso che è una scelta libera  dell'uomo di essere senza Dio e questa scelta di voler essere senza Dio è una determinazione che castiga il peccatore stesso il quale, però, non vuole essere perdonato e liberato, ma intende persistere in questa sua decisione.

Come è possibile questa contraddizione di voler vivere in una situazione di tormento?

Il Signore ci avverte che esiste il concreto pericolo di poter uccidere la propria coscienza se si continua volontariamente a percorre, con piena avvertenza e deliberato consenso, una strada sbagliata e peccato (dal greco amartia) significa proprio strada sbagliata.

Quando la dottrina cattolica parla del timore di Dio come dono dello Spirito Santo, intende quel dono interiore per cui temiamo di allontanarci dall'aiuto  di Dio e quindi non è Dio l'oggetto del timore ma la sua assenza.

La libertà (nei suoi più radicali tentativi di ribellione) quando non sceglie l'Amore di Dio che l'ha creata, finisce per scegliere se stessa: ma la libertà per la libertà è un atto vuoto, privo di significato, un'illusione che impedisce la propria felicità e la propria realizzazione e che, se perseguita fino in fondo, fa perdere la consapevolezza della propria origine e la direzione del proprio cammino.

L’intelligenza umana, poiché non riesce a conoscere immediatamente ma solo  progressivamente  le conseguenze che nascono dai suoi atti, dopo aver sperimentato il male, quasi sempre si pente: è la storia di Adamo ed Eva ed è la nostra storia.

Ogni scelta umana, prima di irrigidirsi in una direzione irrevocabile, dà sempre luogo ad un cammino che è fatto di soste, indietreggiamenti, progressioni.

Tuttavia  anche la scelta umana può diventare definitiva.

Infatti se  dopo il peccato ( peccare significa sbagliare strada ) - che è colpevole solo  quando è frutto di una situazione soggettiva di piena avvertenza e di deliberato consenso - non correggiamo la rotta e non cerchiamo di riparare il male fatto, rischiamo di rimanere nella schiavitù del peccato e di perdere progressivamente la consapevolezza del peccato stesso.

Il Signore ci avverte che esiste il concreto pericolo di poter uccidere la propria coscienza se si continua volontariamente a percorrere una strada sbagliata.

Infatti, facendo questo, l'uomo può avviare un dialogo con se stesso attraverso il quale si giustifica e si persuade che è falso o quanto meno dubbio ciò che non vorrebbe che fosse vero.

Lentamente, lungo questa strada sbagliata, l'individuo perde progressivamente consapevolezza della verità e trasforma il male in bene.

Chiedere perdono, cercare di correggere la strada sbagliata, fa conservare la consapevolezza del peccato.

Per la dottrina cattolica l'incapacità colpevole di chiedere perdono è propriamente il peccato contro lo Spirito Santo che non sarà perdonato perché il peccatore, persistendo con il peccato nella sua avversione a Dio, finisce per uccidere la sua coscienza: dopo aver trasformato in maniera progressiva e continuativa il male in bene e il bene in male,  l'individuo rischia di ripiegarsi per sempre su se stesso e di vagare eternamente nel labirinto di una realtà virtuale costruita dalle proprie illusioni che non sono in grado di soddisfarlo  mai veramente, ma solo di ossessionarlo.

Dio, fino all'ultimo, cerca l'uomo e continua a sollecitarlo al pentimento, mai violentandolo, ma rispettando sempre la sua libertà.

 


31-03-2011

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